Frattura di femore, quando il timing fa la differenza tra la cura e la morte

Il caso riguarda una paziente di 88 anni che effettuava un accesso presso il Pronto Soccorso di un policlinico nella serata di venerdì 13 febbraio 2019 (ore 20) per comparsa di dolore all’anca destra successivo a una caduta. La paziente presentava un BMI pari a 22,89 e in anamnesi si annotava la presenza di ipertensione arteriosa, trait talassemico, anemia cronica multifattoriale, ateromasia TSA e dell’asse iliaco-femorale, vasculite arti inferiori, insufficienza venosa, IRC. Al momento dell’accesso in Pronto Soccorso, la paziente era in terapia con Cardioaspirina 1 cp/die, Enalapril 5 mg 1 cp/die, Ranitidina 1 cp/die, Folina 1 cp/die.  Veniva effettuato un esame radiografico che rilevava una frattura del collo del femore a destra (sospetta frattura patologica?) ed esami ematochimici di routine che mostravano un aumento della creatinina (1,16 mg/dl) e della PCR (0,60 mg/dl). Si posizionava l’arto in ferula, si somministravano terapia antidolorifica e profilassi antitrombotica, eseguendo infine una valutazione anestesiologica (Asa IV). La paziente era, dunque, considerata operabile e il giorno successivo (sabato 14) era eseguita la trasfusione di una sacca di GRC. Poiché la sala operatoria era occupata per altre urgenze, l’intervento veniva rinviato al giorno successivo (continua)